FIORI DI SERRA
Ovvero: sull’umanesimo carcerario. Intenso romanzo verista di Miriam Ballerini
“Fiori di serra”, romanzo di Miriam Ballerini, pubblicato da Rapsodia, è un inno alla civiltà, nel paese che può vantare, almeno teoricamente “Dei delitti e delle pene” di un Beccaria, ma che praticamente è ancora ben lontana da un umanesimo carcerario.
Il romanzo racconta la vita di Gloria, una detenuta immaginaria tra le mura di una casa circondariale, il "Bassone" di Como. Miriam si presenta come reporter. Il giornalismo si fonde con la passione narrativa. Non è un caso che il carcere ci viene presentato come una serra, dove vengono coltivati i fiori migliori. Ed è così! Almeno doveva essere così negli intenti del nostro caro illuminato Beccaria. Chi meglio del redento si può fare redentore della società? Il carcere-scuola: rieducare alla vita civile! Miriam nella sua esperienza letteraria è sempre attenta a queste problematiche sociali. Scrive a proposito Maria Chiara Sibilia: «È un abbinamento tra reportage e romanzo in cui la Ballerini descrive le sue esperienze di osservatrice diretta intrecciate alla trama del romanzo che si sviluppa attorno alla figura della protagonista, in carcere per aver ucciso accidentalmente un uomo durante una rapina».
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Miriam è l’intellettuale attenta ai problemi sociali. Come in altri romanzi la sua narrativa sperimentalista si riallaccia in qualche modo nella mente all’intento naturalistico di un Zola, al canone positivista, nel cuore al lato verista italico. L’intellettuale osserva, ma questa osservazione non è “impersonalistica”, come quella ottocentesca, almeno nell’intenzione. Miriam si cala nel pieno delle situazioni, a tutta carica! Diremmo: parte in quarta! Ella è una dei carcerati, non è il carceriere. Dietro i misfatti, dietro la “maschera di ferro” del carcerato, c’è sempre una persona, che va capita, va accolta. C’è una persona che non è un’irredenta, non è un’anima dannata vagante per l’eternità nelle tartaree fiamme infernali. Ci sono, poi, anche gli irredenti, ma è per scelta loro, sempre per scelta loro. «Questo romanzo nasce sulle ceneri di una storia vissuta per un breve tratto. Per scriverlo sono entrata in un carcere: nella sezione femminile della Casa circondariale Il Bassone di Como. Con quale spirito si arriva a narrare le storie di alcuni detenuti? Prima di tutto facendo spazio, togliendo quello che non serve: i pregiudizi, il giudizio, la condanna. Si arriva lì e ci si accorge di trovarsi di fronte a delle persone uguali a noi. Persone con un cuore, una testa, una storia. Una vita che è stata diversa dalla nostra e che, per delle scelte sbagliate, per dei casi o delle necessità, le ha portate a vivere in una cella anziché in una comoda casa come la nostra. Mi sono fatta rinchiudere in una cella per dieci minuti, per provare sulla mia pelle la sensazione della prigionia. Per scrivere questo libro con il solo intento di far conoscere delle situazioni, senza voler giustificare o scusare. Nessuno può cancellare le proprie azioni e ognuna delle donne da me conosciuta sta pagando i suoi errori di persona e con dignità». Gesù non condanna l’anonima meretrice evangelica, ma si rivolge agli accusatori: – Chi è senza peccato … Quell’anonima meretrice è ogni anima umana, è ognuno di noi.
L’intellettuale è un “puro occhio contemplante” schopenhaueriano. Non guarda alle colpe, al male, guarda all’umanità. Dietro le sbarre non c’è un uomo, c’è l’umanità. L’intellettuale si propone come profeta, se non come mistico. L’intellettuale pensa, come un Papini, all’apocatastasi di Origene il grande. Anche il Diavolo, se vuole, può convertirsi, anche i demoni, le “anime morte”, i dannati! Ma non vogliono! Volere è potere! La “volontà di potenza”! L’illuminismo/positivismo di Miriam Ballerini mira alla redenzione sociale degli smarriti. Dobbiamo far luce innanzitutto nel nostro cuore: questo è il primo carcere. È il carcere di un freudiano spesso inconsapevole rimosso che racchiude e copre, come un Lete, non solo le nostre passioni più recondite, ma i nostri traumi, le violenze subite.
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Letame deriva da Lete: il fiume torbido e melmoso dell’oblio, il fiume che tutto copre nella feccia. L’intellettuale è l’apostolo della verità, dell’Aletheia: uscir fuori dal Lete: «Eccomi qua, anche io dentro il mio libro, come un altro personaggio, costretta nello spazio ristretto delle prime righe scritte. Per chi non mi conoscesse: mi chiamo Miriam e... scrivo. Questo libro sono anni che mi sta aspettando, con la pazienza che solo delle pagine chiuse possono avere. Avevo appena compiuto quattordici anni quando scrissi il mio primo romanzo. Prima c’erano stati dei vaghi tentativi di scrivere racconti dell’orrore, la mia prima passione letteraria. Fino a quando non lessi “Rusty il selvaggio” di Susan Hinton e il suo modo di narrare, asciutto e sincero, mi colpì in modo particolare». Bellissima questa relazione immaginaria tra le sbarre e le righe. La letteratura a volte è il carcere della cultura, della creatività, dell’intuizione originaria, la vera Sofia. Il nozionismo, l’accademismo spesso ucciede il pensiero. La pulsione intellettuale viene ingabbiata in scuole-carceri-fabbriche che opprimono la vera libertà, quella di pensare. E qui dobbiamo ben capire chi è veramente libero. La Verità vi farà liberi! Non lo star fuori da una gabbia. Gli Stoici dicevano: è libero Marco Aurelio sul trono. È libero Epitteto in catene!
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. «Gloria, chiusa in cella, cenò guardando la televisione. I telegiornali parlavano della morte di Oriana Fallaci. Ricordava di aver letto Lettera a un bambino mai nato e di averlo trovato stupendo.
«Una razzista di meno!» urlò qualcuna da una cella in fondo.
«Ma che cazzo dici? Era una scrittrice stupenda!» ribatté un’altra».
L’intellettuale non è di destra o di sinistra, è e basta. È universale. Non si chiude in gabbie, schematismi, etichette, movimenti, correnti. Ma cos'è la destra, cos'è la sinistra?
«Eccoci qua, Gloria e io, sedute una di fronte all’altra. Io concreta e reale, lei personaggio della mia fantasia; eppure così presente. È da quando avevo quattordici anni che vive con me. È rimasta in disparte fino a quando c’è stata l’occasione giusta per farla esistere».
La letteratura è vita. I personaggi sono vivi. Sono ognuno di noi. Ognuno di noi è Gloria. Gloria è appunto la gloria, la luce che passa attraverso le tenebre. Il giorno spunta dalla notte oscura. Il seme spunta dalla terra onnicoprente. Non siamo immuni dal male. Il male è in ognuno di noi, ma la cosa più bella che esiste è che noi possiamo trasmutare quel male in bene, quel piombo in oro. Questa è la verace alchimia redentrice che Miriam ci propone.
Vincenzo Capodiferro