COME IMPRONTE NELLA NEVE a cura di Marcello Sgarbi
Sarò
anche campanilista ma, dopo avere presentato in questa serie di
recensioni Massimo Del Viscio, che ho definito l’”Andrea Vitali
di Appiano Gentile”,
non
posso fare a meno di suggerirvi la lettura di un’altra illustre
e
già affermata scrittrice appianese.
Titolare
di una ormai nutrita bibliografia, costituita soprattutto da romanzi
di
narrativa sociale quali Fiori
di serra,
ambientato nel carcere di Como,
Dietro
il sorriso del clown,
che ha per temi l’ansia e la depressione
o
Bassa
marea,
dedicato a storie di vita borderline,
in questo nuovo libro
si
schiera ancora una volta dalla parte degli ultimi.
Zeljka,
protagonista assoluta del racconto, fugge da una vita di dolori.
Fisici,
-
perché reduce da un grave incidente – ma soprattutto intimi, per
il suo vissuto di frustrazioni e umiliazioni. Grazie all’amico
Lorenzo, come lei veterinario,
ritrova
nel casale battezzato “la tana” la sua identità di donna.
L’esperienza
con Elia e Jacopo, con lo stesso Lorenzo e con Claudia,
una
ragazzina che come lei – e per ragioni diverse – è in cerca di
sé stessa,
portano
Zeljka a condividere insieme a loro sia l’amore per gli animali,
sia
per la natura. La cifra stilistica, precisa e insieme ricca di
paragoni,
metafore
e immagini antropomorfe, mi ha ricordato autori come Isabel Allende
o
Gabriel Garcia Marquez. E gli echi poetici percepibili in diversi
momenti
del
racconto, così come nel percorso letterario di un altro grande – e
trascurato -
scrittore
lombardo quale Massimo Bontempelli, prima che con la prosa
sono
la testimonianza della lunga e significativa frequentazione
dell’autrice
con
Euterpe. Come ci suggerisce in questo suo ultimo romanzo, il nostro
vissuto
è
simile alle impronte lasciate sulla neve. Destinato a svanire, ma non
per questo meno autentico. E ancora ci dice: facciamo in modo che
queste impronte
siano
nitide, uniche e meravigliose. Perché la nostra vita sia ricordata,
tanto
quanto questa splendida prova narrativa.
Non voleva ancora
concedere all’entusiasmo di rendersi palese. Aveva paura di
commettere il peccato di cercare un po’ di sollievo dal dolore;
conosceva fin troppo bene quella verga che le calava a sorpresa sulle
reni, proprio quando cominciava a manifestare la sua altezza di
essere umano. Nella sua vita ogni cosa ottenuta le era costata una
sferzata e per un po’, per qualche tempo ancora, non voleva pagare
più lo scotto dell’aspettativa.
Faceva freddo, la luna
galleggiava in quel calice di tenebre, vestita di nubi sfilacciate.
Zeljka sentì dentro di
sé un tremito: un insetto munito d’elitre che presto avrebbe
spiccato il volo.
Amare la vita è un
dono. Quando ci si innamora delle sue varie forme si comprende che
l’essere umano è solo una piccola goccia di un fiume che scorre e
leviga. Senza quello smodato trasporto d’acqua, saremmo solo stille
destinate a svaporare al primo sole.
Il tramonto era una
pennellata di rosso sulle guance del cielo. Le nuvole parevano
biscotti inzuppati in quel liquido ambrato.
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