Double face: scrittura e scrittore
Miriam Ballerini
Fin dall’esergo sono stato particolarmente attratto e coinvolto da questa nuova prova letteraria – un po' saggio un po' racconto autobiografico - di Miriam Ballerini.
È di William Somerset Maugham: “Uno scrittore non scrive soltanto quando è a tavolino, scrive tutto il giorno, quando pensa, quando legge, quando fa esperienza immagazzina ogni sensazione, ogni persona che incontra. Scrive quando fa colazione. Scrive quando fa l’amore. Un lavoro a tempo pieno”. La citazione mi ha colpito perché è praticamente l’estensione del pensiero di un altro grande autore, Joseph Conrad, che amo molto e che dice: “Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”. L’incessante rapporto di Miriam con i libri e la scrittura scaturisce con forza anche dalle pagine di “Double face: scrittura e scrittore”. Volumi di manualistica o saggistica sull’argomento ne sono stati scritti tanti. Personalmente ho apprezzato fra gli altri il “Ricettario di scrittura creativa” di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, “Lezioni di letteratura” di Vladimir Nabokov, “On writing” di Stephen King o la collana “La scuola del racconto” curata da Guido Conti. Ma fra quelli che ho letto, nessuno è mai stato così completo e nello stesso tempo così semplice come Miriam Ballerini in quest’opera. “Double face” è uno specchio, che ci aiuta a conoscere e scoprire un’autrice riflessa nelle proprie pagine. Da un lato precisa e chiara nello stilare concetti cardine della scrittura, come questi: “Noi dobbiamo essere in grado di scrivere cose già dette e ridette con parole e modi nuovi”. Oppure: “Dobbiamo cominciare col chiederci che cosa vogliamo trasmettere al lettore”. O ancora: “Dobbiamo chiederci sempre che cosa vogliamo comunicare con ciò che scriviamo”. Esaustiva nell’affrontare e strutturare argomenti chiave fra cui la stilistica, la descrizione dei personaggi e degli ambienti, la trama o i dialoghi (tutti capitoli da leggere con estrema attenzione). Dall’altra parte dello specchio, invece, c’è la Miriam che è – scusate il gioco di parole – “un libro aperto”. Con sincerità, semplicità e spontaneità – uno stile “knowing but nonchalance”, di basso profilo ma di grande contenuto – attraverso la sua storia ci fa capire quanto sia impegnativo scrivere. E fra le righe, quanto uno scrittore sia prima di tutto un grande lettore. Perché per educare la penna bisogna prima esercitare l’”orecchio interno”, così come per disegnare, dipingere o fotografare è indispensabile sapere osservare. O per cantare e suonare, abituarsi ad ascoltare.
© Marcello Sgarbi
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