mercoledì 19 aprile 2023

Recensione di "Progetto" a cura di Marcello Sgarbi


Miriam Ballerini

Progetto

Disponibile solo su www.amazon.it


Ho poca dimestichezza con il territorio della poesia, mi ci muovo disorientato come un rallysta senza il suo navigatore. Ed è forse questo il motivo per cui sono riuscito ad apprezzare i versi di Miriam Ballerini, la tenutaria di questo blog.

Perché il suo poetare è fatto di immagini semplici e immediate, comprensibili a tutti, osservate con uno sguardo attento al dettaglio ed evocate con tono lieve.

Miriam ci fa vedere quello che scrive e ci coinvolge. Tanto da oltrepassare i limiti imposti dalla pagina per farci provare una commozione sincera, così come ribadisce lei stessa nell’esergo che segue la sua introduzione a questa raccolta, mutuato dallo scrittore Nicholas Sparks: “La poesia non è stata scritta per essere analizzata. Deve ispirarci al di là della ragione, deve commuoverci al di là della comprensione”.

Nella metrica dell’autrice brillano i paragoni e le metafore, quasi sempre legati al mondo della natura, presente molto spesso insieme alle tematiche sociali anche nei suoi racconti e nei suoi romanzi.

Come nella poesia La strada, dove “La tastiera di un pianoforte fa da ponte a una vecchina che attraversa appesa alla borsa”. Sembra di assistere alla scena. E notare il passo lento della donna, così stanco da suscitare un paradosso visivo: è lei ad appendersi alla borsa, non il contrario.

Le similitudini di Progetto, il componimento che dà il titolo alla raccolta, insieme a Come stelo mi ricordano l’antologia di prosa e poesia Come fiori sul ciglio della strada: “O forse siamo girasoli mancati,/coi petali a coprirci lo sguardo,/ che rasenta l’imperfetto del suolo,/anziché spingersi/in alto, a guardia del tuo sguardo?”.

A volte si fanno pittoriche, per esempio quando Miriam scrive: Lecco il gusto/cioccolato fondente/ della notte./Un lampione piange giallognolo,/tratteggiando il volo nero dei pipistrelli”. E a me sembra di contemplare i contrasti stridenti delle opere vangoghiane Caffè di notte e Campo di grano con volo di corvi.

Le metafore offrono immagini inedite, in particolare nella poesia Papaveri e ancora di più in Cosa rimane, in cui la speranza viene definita un gelato al sole che cola troppo presto su una cialda dolce, ma subito amara, perché finisce, sfinendo la lingua che ancora cerca un gusto scomparso.

Oppure suscitano impressioni uditive, come in VentoUno schianto d’elica/rompe il mosaico del cielo,/intessuto dai voli sottili,/d’ali di passero”. E più avanti: “Mentre uno struscio di foglia,/rinsecchita e rugosa,/ si trascina sulla strada sottostante./E rende sonoro il vento che turbina, fuori e dentro di me”.

Dalla pittura alla letteratura, Nuovo anno provoca rimandi al Diario di Katherine Mansfield ed Eremita a Il barone rampante di Italo Calvino: La natura non è mai vile/e niente temo nel grembo/della mia capanna sull’albero,/lontana dai tranelli/di un mondo che non oso/più riconoscere come mia patria”.

O ancora sembra echeggiare Dickens, come in Stelle di cartone, dove risplende un’altra metafora: “Se nevicherà avrò almeno una coperta./Candida panna con la quale guarnire/la mia torta al sapore di nulla”.

E non si può non pensare a De André con le poesie dedicate agli ultimi, fra cui spiccano per il loro afflato di umanità Un viaggio senza speranza, L’urlo e Rumeno.

Di umanità, con le sue tensioni e le sue contraddizioni, a volte addirittura disperata, alla deriva, parlano Vuoti a rendere e Matrioska, ma soprattutto Delusione e Clandestini. In Delusione Miriam scrive: Quante volte ho poggiato su braccia sbagliate,/la mia fiducia; donata vestita a festa,/tornava a casa violata,/a cenci sdrucita./I falsi amici sono come i rifiuti,/ in un bosco,/gli alberi pare respirino,/ma la sporcizia/soffoca il terreno.

E in Clandestini: “Nessuno può impadronirsi/di un mondo in prestito./Siamo affittuari, casomai;/pedine poste a caso/su una scacchiera dove/ogni giorno/la partita cambia giocatori”. In Uomo? L’autrice si spinge a provocare, prendendo a prestito l’undicesimo comandamento, quello non scritto sulle Tavole della Legge ma portato da Gesù con il Nuovo Testamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Ti ami?”.

L’attenzione di Miriam Ballerini verso la persona, il rispetto per la sua identità e la sua dignità, sono del resto ribaditi anche nella postfazione alla raccolta: Alla fine è sempre e solo una la parola che ci lega: umanità. Siamo tutti umani, ognuno con le nostre differenze a farci unici e speciali”.

E non può mancare un tributo al proprio mestiere, come si legge in Pensieri vanesi: “Perché la scrittura non mente./Si avvinghia ai fogli e si dà vergine/ a chiunque la voglia leggere./ Non si prostituisce atteggiandosi/all’artista dei bla bla bla”.

Progetto è una prova d’autore matura, che conferma il talento versatile di Miriam Ballerini.


© Marcello Sgarbi

mercoledì 12 aprile 2023

CCA

 

grazie al centro culturale Antonianum di Milano 

mercoledì 5 aprile 2023

Recensione di "Progetto" a cura di Vincenzo Capodiferro


PROGETTO

Un’antologia sofferta ed incantata di Miriam Ballerini

Scrive l’autrice: «Dal titolo di una poesia in cui domando a Dio cosa davvero volesse creare quando ci ha ideati, è nata questa antologia. Non mi sono mai reputata una poetessa. Scrivo romanzi, scrivo racconti … le poesie sono quelle storie in cui m'imbatto, troppo grandi per la mia anima, troppo minime per crearne qualcosa di più, se non delle riflessioni incisive. Così come nella narrativa sociale, che è ciò di cui mi occupo nella mia professione, anche quando la mia penna si dedica alla poesia, l'attenzione è sempre rapita dalle storie degli ultimi; spesso dalle manifestazioni della natura». Da anni Miriam Ballerini si dedica alla letteratura sociale. Il suo sguardo è fisso sugli ultimi, sui bisognosi. La letteratura, come nel naturalismo di Zola, si fa carico di descrivere il disagio sociale delle classi più abiette. Spesso la voce di Miriam sfocia in aperto, pessimistico, verismo. Per i vinti non c’è speranza, non c’è redenzione. Eppure il letterato può dire il vero, può denunziare.

Scrivo e so

che quando consegno

le mie parole al mondo,

ognuno ne farà origami o esempio.

Scempio.

Poi ti trovi in questi festini,

dove ognuno pretende che

la penna sua, sia migliore dell’altra.

E come è vero. C’è troppa competizione tra autori. Non c’è l’alleanza degli intellettuali che potrebbero cambiare il mondo, se solo, come si auspicava Cattaneo, si associassero le menti. Non ci sono scuole o correnti dominanti che riescano a dare un senso vero alle cose, persi tra le onde della società liquida dove è difficile anche interpretare. Nietzsche: - I fatti sono stupidi senza l’interprete! Il letterato da sempre si è fatto carico di questa funzione interpretante ed orientante. Oggi non più!

Ma certo! Ridi!

Non come molti,

con le labbra strette,

intimorite che un raglio fugga;

ma con lo sboccio pieno

di tutta l’ilarità.

Ci ricorda il leopardiano: Godi, fanciullo mio; stato soave…: è uno schietto invito al carpe diem, in una vita che fugge, spesso amara, dominata dallo schopenhaueriano pendolo tra dolore e noia. Nella letteratura di Miriam ci sono tutti: il rumeno, l’acchiappasogni, la matrioska, l’emigrante. Come scrive ella: «Alla fine è sempre e solo una la parola che ci lega: umanità. Siamo tutti umani, ognuno con le nostre differenze a farci unici e speciali». È l’ideale del Nihil Umanum… Non esistono i superuomini, ma esistono senz’altro i sottuomini: a loro dobbiamo rapportarci per capire l’umanità. Anche Nietzsche alla fine l’aveva capito. Siamo tutti inetti, inutili, limitati, provvisori.

Questa antologia è una sintesi perfetta della vita di Miriam, della sua letteratura, sempre attenta e sensibile ai bisogni dell’altro, soprattutto degli ultimi. Le condizioni più deplorevoli dell’umanità ci rivelano il vero senso dell’uomo. Non lo vediamo nella ricchezza, nei miti sempre antichi e sempre nuovi del successo, dell’eroismo, che oggi si rivela nei telematismi, negli ultraversi e metaversi, nelle vite parallele vissute sul portale di un cellulare o di un computer, o sulle lenti di occhiali tridimensionali. Rischiamo di non vedere più il mondo così com’è, di eludere ed anestetizzare il dolore e la morte nell’eutanasia vivente. La morte è vera essenza della vita, come diceva Heidegger (l’essere per la morte!) e come ci ammoniva Sant’Alfonso nel suo “Apparecchio”.

© Vincenzo Capofiderro