PROGETTO
Un’antologia sofferta ed incantata di Miriam Ballerini
Scrive l’autrice: «Dal titolo di una poesia in cui domando a Dio cosa davvero volesse creare quando ci ha ideati, è nata questa antologia. Non mi sono mai reputata una poetessa. Scrivo romanzi, scrivo racconti … le poesie sono quelle storie in cui m'imbatto, troppo grandi per la mia anima, troppo minime per crearne qualcosa di più, se non delle riflessioni incisive. Così come nella narrativa sociale, che è ciò di cui mi occupo nella mia professione, anche quando la mia penna si dedica alla poesia, l'attenzione è sempre rapita dalle storie degli ultimi; spesso dalle manifestazioni della natura». Da anni Miriam Ballerini si dedica alla letteratura sociale. Il suo sguardo è fisso sugli ultimi, sui bisognosi. La letteratura, come nel naturalismo di Zola, si fa carico di descrivere il disagio sociale delle classi più abiette. Spesso la voce di Miriam sfocia in aperto, pessimistico, verismo. Per i vinti non c’è speranza, non c’è redenzione. Eppure il letterato può dire il vero, può denunziare.
Scrivo e so
che quando consegno
le mie parole al mondo,
ognuno ne farà origami o esempio.
Scempio.
Poi ti trovi in questi festini,
dove ognuno pretende che
la penna sua, sia migliore dell’altra.
E come è vero. C’è troppa competizione tra autori. Non c’è l’alleanza degli intellettuali che potrebbero cambiare il mondo, se solo, come si auspicava Cattaneo, si associassero le menti. Non ci sono scuole o correnti dominanti che riescano a dare un senso vero alle cose, persi tra le onde della società liquida dove è difficile anche interpretare. Nietzsche: - I fatti sono stupidi senza l’interprete! Il letterato da sempre si è fatto carico di questa funzione interpretante ed orientante. Oggi non più!
Ma certo! Ridi!
Non come molti,
con le labbra strette,
intimorite che un raglio fugga;
ma con lo sboccio pieno
di tutta l’ilarità.
Ci ricorda il leopardiano: Godi, fanciullo mio; stato soave…: è uno schietto invito al carpe diem, in una vita che fugge, spesso amara, dominata dallo schopenhaueriano pendolo tra dolore e noia. Nella letteratura di Miriam ci sono tutti: il rumeno, l’acchiappasogni, la matrioska, l’emigrante. Come scrive ella: «Alla fine è sempre e solo una la parola che ci lega: umanità. Siamo tutti umani, ognuno con le nostre differenze a farci unici e speciali». È l’ideale del Nihil Umanum… Non esistono i superuomini, ma esistono senz’altro i sottuomini: a loro dobbiamo rapportarci per capire l’umanità. Anche Nietzsche alla fine l’aveva capito. Siamo tutti inetti, inutili, limitati, provvisori.
Questa antologia è una sintesi perfetta della vita di Miriam, della sua letteratura, sempre attenta e sensibile ai bisogni dell’altro, soprattutto degli ultimi. Le condizioni più deplorevoli dell’umanità ci rivelano il vero senso dell’uomo. Non lo vediamo nella ricchezza, nei miti sempre antichi e sempre nuovi del successo, dell’eroismo, che oggi si rivela nei telematismi, negli ultraversi e metaversi, nelle vite parallele vissute sul portale di un cellulare o di un computer, o sulle lenti di occhiali tridimensionali. Rischiamo di non vedere più il mondo così com’è, di eludere ed anestetizzare il dolore e la morte nell’eutanasia vivente. La morte è vera essenza della vita, come diceva Heidegger (l’essere per la morte!) e come ci ammoniva Sant’Alfonso nel suo “Apparecchio”.
© Vincenzo Capofiderro
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