martedì 22 dicembre 2020

venerdì 6 novembre 2020

Circolo culturale Masolino da Panicale

presente nell'antologia con un mio testo

 

venerdì 23 ottobre 2020

Recensione di Fiori di serra a cura di Stefano Pioli - Oubliette magazine

 

“Fiori di serra” di Miriam Ballerini: la privazione della propria quotidianità

Perché l’unico mezzo per parlare al cuore delle persone è farlo attraverso delle storie.”

Fiori di serra di Miriam Ballerini
Fiori di serra di Miriam Ballerini

La storia non è solo un tramite, ma è un destino imprevedibile, che prende forma, attimo dopo attimo, nella mente di chi la sta inventando (segreto di Pulcinella che qualsiasi autore conosce).

In quel momento egli crede di avere in mano la sorte di un certo numero di individui, alcuni dei quali pagheranno per delle colpe che sono state create apposta per loro da una specie di demiurgo, che solitamente partecipa, celato in un abisso, in obbligazione solidale al suo e al loro tormento. E, talvolta, anche alle eventuali felicità.

Resta il fatto che, a quanto si dice, la maggior parte delle narrazioni contenga più sofferenza che gioia e che ogni scrittore gema insieme alle proprie creature per una loro pena, più di quanto festeggi per una loro vittoria.

Posto che esista un Dio, e che uno scrittore sia una sua caduca ipostasi, viene da chiedersi se anch’Egli provi simili tormenti nell’atto di creazione di una nuova anima e nella sua tormentata peregrinazione terrena.

Il personaggio principale è una ventunenne di nome Gloria che, vivendo una situazione di disagio, è spinto dal compagno e dal bisogno a partecipare a una rapina, nel corso della quale, spara accidentalmente a una persona, uccidendola.

A me pare che un’importante parte del cuore di Miriam sia servita a costruire questa figura di rea confessa, che è, al medesimo tempo, vittima della propria assurda disgrazia.

Il romanzo corre su due binari concomitanti, che sembrano intrecciarsi senza mai entrare in collisione. Da una parte sono rievocati i tentativi da parte di Miriam di entrare fisicamente e psicologicamente in un carcere femminile, al fine di raccogliere informazioni sull’ambiente, ma anche di percepire il senso della condizione di essere reclusi.

L’anima della scrittrice cerca di mischiarsi con quelle dei suoi personaggi, che saranno poi trasfigurati con delle maschere, come accadeva nelle rappresentazioni classiche.

A tal fine accetta persino di farsi rinchiudere, per una manciata di minuti, in una cella. Al termine di quell’atto rituale, sorge in lei quell’angoscia che le permetterà di portare a termine il suo compito: creare una storia che riesca a far sorgere una scintilla di luce in quel mondo oscuro.

Parallelamente, in modo apparentemente distinto, sono descritti i piccoli e grandi avvenimenti che accadono a una manciata di disgraziate creature, ognuna con il suo penoso dramma umano, che non sembra mai finire di consumarsi.

La narrazione si sposta anche fuori, nel mondo libero, dove sono raccontate altre reclusioni psicologiche che non producono un minor grado di disperazione umana a chi la deve affrontare, giorno dopo giorno, inevitabilmente.

Miriam, più di una volta, afferma che sono le storie che si presentano allo scrittore, coi loro corredi di frasi, situazioni, personaggi. Aggiungerei che, per far questo, esse risalgono a chissà quale ignoto evento temporale.

Miriam racconta che il suo primo romanzo fu scritto quand’era una ragazzina, e riguardava proprio quel mondo fatto di sbarre e di alienazione, la cui protagonista si chiamava anch’essa Gloria, nomen non troppo omen, come la giovane assassina che, in questo multiverso, è stata condannata a dodici anni di reclusione, per rapina a mano armata e omicidio preterintenzionale.

La vita di un uomo è segnata dalla necessaria convivenza con il suo prossimo, ragione che presuppone una condivisione di gioie e di dolori, ma anche il rispetto di regole.

L’ingiustizia sociale crea però le condizioni perché alcuni di noi omuncoli finiscono per infrangerle, per cui diventano criminali quasi senza accorgersene. La prima notte di carcere è orribile, perché è allora che prendono piena coscienza del proprio stato.

La prigionia toglie tutto” e quel che prima era semplice, scontato, banale, ora diventa prezioso, complicato e a volte impossibile. Questa è la condanna peggiore, l’essere privati della propria quotidianità.

Il personaggio più splendente è una certa Loredana, che ha perdonato chi l’ha costretta su una sedia a rotelle per il resto della sua vita, sparandole alla schiena. Lei conforta in tal modo Gloria, il cui crimine non sarà forse mai rimesso e dimenticato da nessuno, tantomeno da lei stessa. E il loro dialogo è il più luminoso dell’intera storia:

Miriam Ballerini
Miriam Ballerini

“Sei qui per aiutare persone uguali a quella che ti ha fatto…”

“Sono qui per aiutare delle persone che possono essere recuperate. Se non si aprono spiragli, non si può pretendere di far vedere la luce.”

Loredana poco prima le aveva detto che non si può pretendere il perdono dei parenti delle vittime: “… le persone che hanno subito i vostri crimini hanno il diritto al loro dolore.”

La vedova della persona uccisa da Gloria “si è rifiutata di capire cosa possa esserci dietro quello che è capitato, ma questa è la sua scelta e dobbiamo rispettarla.”

Come anche nel successivo romanzo, Come impronte nella nevequesti Fiori di serra sono un insieme di attimi che accadono fatalmente, inesorabilmente e, a volte, tragicamente. Ma anche miracolosamente, compiutamente ed empaticamente.

Ogni multiverso è un insieme di fenomeni che s’intersecano producendo drammi e commedie, tragedie e favole, il cui lieto fine non è obbligatorio, ma auspicabile.

Quel che è scaturito dall’anima di Miriam non fa eccezione. Lei dimostra, come sempre, di essere molto abile nel saper dare un senso a questo groviglio, che è intriso di umana compassione e di fede nella resurrezione.

E sa sempre donare al mondo frasi un po’ strane, e sobriamente ricercate, come: “Gennaio vedeva i primi fiocchi di neve scendere nel buio come stelle esaurite.”

Sic transit lux mundi!

 

Written by Stefano Pioli

Poesie di strada 2020

 

Presente con la mia poesia "Gelo"

martedì 6 ottobre 2020

Articolo di Vincenzo Capodiferro


 Double face. Scrittura e scrittore”

Un completo ed avvincente manuale di scrittura di Miriam Ballerini


Questa volta la nostra cara amica e scrittrice Miriam Ballerini si è buttata a capofitto nella stesura di un manuale per scrittura creativa, dal titolo, quanto mai intrigante: “Double face. Scrittura e scrittore”, uscito nel settembre 2020. Miriam ha alle spalle una promettente carriera di scrittrice, ma ha cominciato dal nulla, un po’ come tutti: «La mia avventura è iniziata nel 2001. Fin da ragazzina ho provato a inviare varie lettere a delle case editrici, cercando di trovare un coraggio che non avevo, ma con tutta la fiducia che si può ancora covare quando si è degli adolescenti. Poche mi risposero con una lettera preconfezionata: ”Siamo spiacenti, ma quanto ci propone non rientra nei nostri canoni letterari”. Già solo avere in mano una lettera da aprire che giungeva da una casa editrice, credetemi, dava un tremore alle gambe inimmaginabile!». La bella lezione che Miriam vuol trasmetterci è che non si può scindere tra scrittore e scrittura: sono un tutt’uno. Purtroppo le nostre menti sono infatuate ancora dell’estetismo-astrattismo concretato crociano: l’artista è l’opera d’arte, il poeta è la sua poesia. Ma è vero il contrario! Questo idealismo ci ha infettato, per cui impariamo D’Annunzio, Leopardi, e tutti gli altri come se fossero degli extraterrestri, o dei santi senza vita e perciò poi li odiamo. Non li conosciamo bene. Non conosciamo la loro vita. La bellezza del manuale di Miriam è innanzitutto quella di inframezzare lezioni sulla scrittura creativa ad esperienze dirette della sua vita, di donna innanzitutto e di scrittrice poi: «Posso dire che ho raccolto tantissime soddisfazioni, premi prestigiosi, riconoscimenti che ho ottenuto senza aver mai dovuto pagare nessuno, né senza scendere a compromessi. Ho avuto diverse delusioni, ma chi non le ha nella vita? Di persone che si sono finte amiche finché potevano sfruttarmi, per poi svanire nel nulla. Gente che è venuta da me per dei consigli, per poi credersi migliore e snobbarmi. Di fatto rimanendo ferma là dove hanno deciso di restare, perché se si decide che non si ha più bisogno di apprendere, credetemi, si finisce sempre per percorrere le stesse strade, senza andare oltre». La letteratura è vita, innanzitutto. È una forma di vita. È vita che parla, vuole trasmettere emozioni, valori, chicchessia. E non è facile: penso che conoscendo Miriam, oramai da un bel po’, abbiamo appreso da lei che lo scrittore, l’intellettuale, l’artista, il musicista, cioè chiunque ha a che fare col genio, spesso e volentieri trova l’ostilità del genere umano, non il suo plauso. C’è anche il plauso, ma questo è più finto che vero. «Un giorno, la mia amica del cuore, mi passò un articolo uscito su una rivista: una nuova casa editrice cercava testi per partire, per farlo aveva indetto un concorso. Partecipai con un mio nuovo romanzo, fresco di scrittura “Il giardino dei maggiolini”». Si parte dal nulla, si affronta una serie di intemperie e ci si propone. Nessuno nasce imparato. Dicitur. Certo però che ci deve essere una certa inclinazione naturale: poeta nascitur. D'altronde noi possiamo trasmettere la tecnica, ma non l’arte, quella dobbiamo avercela. E ciò vale per ogni sorta di produzione creativa, anche per la scienza. Bisogna sentirlo. Di solito, il pittore, il musicista, lo scienziato, l’intellettuale, il letterato, chiunque fin da bambino sente di fare ciò, sente di farlo. Bisogna ascoltare la chiamata dell’Essere che preme da dentro di noi e ci dice: divieni ciò che sei! Come sosteneva Nietzsche… e gli altri. La vita è sogno! Noi diremmo: è anche sogno! Questo manuale con precisione e dovizia di particolari, con appropriate citazioni di scrittori classici e non, si presenta come un tesoretto per chi vuole cimentarsi in questa difficile, ma anche facile, meravigliosa, straordinaria, ma anche spinosa passione – e dico “passione” – della scrittura. Miriam è una maestra di vita. Ha scritto tanto, ma ha fatto anche tante battaglie, a volte scomode, battaglie che le sono costate derisioni, offese, come ella stessa ci racconta, direttamente o indirettamente. Ricorda anche quella sera quando l’ho conosciuta io la prima volta. Fu una serata straordinaria, ma anche difficile. Ci siamo accorti come spesso il verbo degli scrittori trova un’ostinata opposizione, sostenuta proprio dai più cari, dai più vicini, da quelli che credevi che ti sostenessero. Grazie Miriam per questo manuale: sono lezioni di vita, oltre che di letteratura e lezioni d’amore.

Vincenzo Capodiferro 

lunedì 21 settembre 2020

Double face: scrittura e scrittore


 Buongiorno,

purtroppo, come potete immaginare, tutto questo anno e,
probabilmente anche il prossimo, sarà difficile fare uscire
un nuovo romanzo e trovare posti dove presentare.
Pertanto, per i tanti che mi hanno scritto, o cercata per chiedermi
quando uscirà un mio nuovo libro, posso solo rispondere che, forse,
sarà per il prossimo anno, se non addirittura quello successivo.
 
Comunque, ho pensato di preparare questo manuale: Double face-
Scrittura e scrittore.
Un manuale che raccoglie il mio corso di scrittura creativa, con aggiunti
aneddoti vari della mia quasi ventennale carriera.
Per chi lo volesse acquistare, da oggi è in vendita su amazon.
Io non ne ho nessuna copia, potete prenderlo solo per via telematica o,
a richiesta, presso le librerie.
 
Ed ecco di cosa parla: Double face: scrittura e scrittore è un manuale che prende spunto dal corso di scrittura creativa della scrittrice Miriam Ballerini.L'autrice, oltre alle lezioni inserite, ha voluto raccontare qualche cosa di sé, rivangare ricordi belli e brutti di una carriera ormai quasi ventennale.Perché il “lavoro” dello scrittore è fantastico fino a quando si è a tu per tu con dei fogli bianchi; ma quando si esce da quelle righe e si affronta un mondo non sempre limpido, non sempre “onesto”, ci si accorge di quella strada in salita da percorrere a passo costante.La dicitura “double face” è inteso dalla stessa in questo modo: il libro può essere di interesse per il suo valore didattico, per chi vuole avvicinarsi al mondo della scrittura. Oppure, può essere letto con curiosità, ficcando un poco il naso nel mondo sconosciuto della scrittura.
 
Grazie della vostra attenzione!
Cordialità!
Miriam Ballerini

venerdì 14 agosto 2020

Recensione di Come impronte nella neve a cura di Stefano Pioli

 Grazie a Oubliette magazine:

“Come impronte nella neve” di Miriam Ballerini: quando la catarsi non c’è, anche i lupi ballano…

Sono un po’ combattuto nel coltivare queste righe di reazione al libro, e forse so perché, ma ignoro se riuscirò a spiegarlo, soprattutto a me stesso.

Come impronte nella neve di Miriam Ballerini
Come impronte nella neve di Miriam Ballerini

Ogni tanto, in questo giardino di parole ed essenze, spunta una frase saggia e sorprendente, che dice cose semplici, ma arcane, e che t’impongono di fermarti per un po’ a riflettere. Basta davvero un battito d’ali di rondine, per mutare in modo irreversibile la nostra vita?

È il libro di Miriam come la vita stessa di Zeljka, molto ben scritto, ma privo di pathos? No, è sì ben scritto, ma ricco di pathos. Dove vuole condurmi? Miriam è come la vita, ci accompagna dove decide lei. Ma noi dove vorremmo trascinare la nostra stanca pellaccia?

Però lei non ride mai alle nostre spalle, come fa invece la vita, anche perché è ben conscia che solo qui, mentre scrive, la sua mano sarà vincente.

Zeljka ha avuto un brutto incidente, è diventata zoppa, e ora vive cercando di fungere da bastone per chi ne ha bisogno, ad esempio Claudia, una sedicenne a rischio droga, che le è stata affidata.

Le orme del vissuto, pensa Zeljka, sono i segni che noi lasciamo, che prima o poi cessano di rappresentare qualcosa, confondendosi in quel disordine a intermittenza che è la nostra coscienza.

È un inno all’amore a cui il lettore è invitato a partecipare. C’è però un modo per evitare quel canto, e non costa nulla, basta smettere di leggere e fare altro. Io però non ci riesco e quindi andrò avanti a sentire la sua e a dire la mia.

È un amore universale, non riferito a qualcuno in particolare, né ai soli umani, ma anche a quelle creature che solo le bestie credono siano prive di anima, anche se li chiamano animali, e solo quei miseri che l’anima l’hanno seppellita con delle immondizie repellenti non riescono ad accettarlo.

Questo discorso vale per gli umani, gli equini, i pitoni, i varani, i ragni amazzonici, i procioni, i cani, le timide pecore, i daini pomellati, i corvi, le colombe, i grilli, i fuggevoli orbetti… tutti esseri con l’anima!

Anche per le piante, i girasoli, le robinie, i radicchi le cicorie e quegli arcani fiori di cui non rammento mai il nome… ce l’hanno anche loro l’anima!

Zeljka si sente, dice, come quei campi gialli, finalmente in grado di svolazzare, dove ancora non sa di preciso, ma uno scopo ora per fortuna c’è: essere capace di farlo.

E l’anima ce l’hanno anche le cose apparentemente inanimate, come le nuvole. Zeljka dice che un cielo senza nubi è come un neonato non ancora vissuto. A volte un aereo disegna dei rombi che lei definisce effimeri e che sono perciò più preziosi. E a volte il vento e la pioggia trascinano via le foglie secche dell’autunno… che esseri dispettosi!

Che non sia tutto rosa e fiori, lo si vede alla sera, quando il tramonto si volge, sempre agli occhi di lei, famelico verso il cielo ed è pronto a papparselo; a volte invece il sole, caloroso come un amico durante il giorno, nel suo mesto calare ama truccare di rosso le guance del cielo.

Zeljka si sente sola, ma non ne soffre tanto, forse un po’ più in quei giorni in cui gli altri festeggiano insieme ai propri amori. Non avendone uno, lei, fresca reduce da un rapporto terribile con un partner crudele, per fortuna, solo con le parole, raramente con gli atti, lei si sente irrimediabilmente sola.

Ma ora per fortuna ora ha trovato una tana!, così lei la chiama, in cui coabita con dei consimili, dei tipi come lei, empatici, sorridenti, amorevoli. E non si sente poi così sola, ora.

A fatica imbastisce un buon rapporto con Claudia, che finalmente trova chi la sa osservare con attenzione, senza prevaricare, che domanda, quasi esige a volte, ma che non s’impone mai come farebbe un capo: Zeljka è una responsabile che sa responsabilizzare chi non ne vuole sapere di obblighi, ma che alla fine li accetta perché scopre che le conviene farlo.

Ogni tanto, quest’allegra compagnia abbozza sorrisi, sghignazza, fa la voce di Ollio, scimmiotta vecchie pubblicità, spara battute un po’ peregrine, però simpatiche, piange, si emoziona, bacia, scappa, sogna, dice bugie, lo ammette, commette casini, si pente, si arrabbia, ma non troppo, ascolta, urla, dice la sua, soprattutto ride a crepapelle e qualche volta lacrima, a volte trattenendo le gocce che lottano per uscire, a volte miracolosamente no, lasciandole libere di scorrere, ma a denti stretti.

Anche il cielo erutta talvolta in qualcosa di eclatante, e il tuono, talvolta, secondo Zeljka, straccia il silenzio, e il temporale minaccioso riesce a disegnare dei tatuaggi nel cielo.

Zeljka fa innamorare Jacopo, quando questi si accorge che lei sa amare veramente… amare chi?… anche chi non è come lei, due puttane dell’est per esempio, che sente esserle simili. Difficile da capire?

Come capita a quel Leopoldo, con cui passa un’intera notte insonne, e che occorre leggere il libro per scoprire chi è.

La tana è illuminata, non solo dai dardi celesti del temporale, ma anche da tale amore che Zeljka diffonde in ogni rivo strozzato (specie quelli che gorgogliano).

La favola non sarebbe tale, se ogni tanto non comparisse sulla scena il cattivo: Christian, il marito, che sente di nuovo il desiderio di lei, quando s’avvede che lei sa vivere ed essere serena senza di lui. Raramente ho visto descrivere un personaggio con tinte più negative di ‘sto pessimo elemento.

Egli l’ha lasciata appena dopo l’incidente, non volendo più convivere con una storpia, e non senza spiattellarle in faccia quest’orrida considerazione. Lui, le dice, non ce l’avrebbe fatta a desiderare di vivere con un simile handicap. Anche questo gliel’ha gettato in faccia, senza ritegno.

Christian gode della propria malvagità, affetto da una specie di sadismo compulsivo e dall’ambigua origine psichica. Sempre ha trattato la moglie come un essere inferiore, una bestiolina, destinata per natura a subire le sue legittime intemperanze.

Non esita a entrare nella tana, per farle firmare le carte di divisione, ma subito dopo s’ingelosisce per la presenza di alcuni uomini, e la chiama in vari modi, anche troia, pazzo di un sentimento informe che è impossibile da catalogare.

I suoi tentativi di penetrare in quel sereno anfratto, fisicamente o telefonando, o via email, sono parecchi, e ogni volta sordidi, bestiali, nel senso più vigliacco del termine. Di questo personaggio ci sarà da parlare alla fine.

Claudia è giovane, già esperienzata, e al contempo inespertamentre Zeljka ha vissuto di più, ma senza capire troppo dalla vita, se non questo: che bisogna cercare di capire il prossimo, dal greco kaptein, latino capere, comprendere, entrare, penetrare. In inglese si dice anche dig, scavare. E nella tana, tutti, ma soprattutto Zeljka e Claudia sviluppano la capacità, molto femminile, di capire.

Fra le due donne ci sono scambi, a volte aspre schermaglie. Claudia la chiama matusaflippatasciroccata, le dice che è fuori come un balcone. A Reggio dicono: t’ē şò cme ‘l metano, oppure: t’ē mât cme ‘na strêda: giù come il metano, matto come una strada. Ma lo si dice a qualcuno a cui in fondo si tiene. Zeljka la chiama marmocchia. E che le due si vogliono bene se lo comunicano spesso, senza ritegno.

Jacopo è sempre più innamorato di quest’essere così grazioso e, pur claudicante, così splendido nel suo amore per tutto quel che… si muove, anche appena appena! Probabilmente nemmeno ci bada più, il ragazzo, che lei zoppica, solo il lettore e Zeljka ce l’hanno sempre presente, come il suo problema maggiore. Anche Christian lo tiene ogni volta a mente, quando lo vuole utilizzare come un motivo d’offesa.

Zeljka ripensa ogni tanto agli anni bui passati con il suo ex. Le lacrime le offuscavano la vista e lei le asciugava talvolta, dice, col canovaccio.

Miriam Ballerini
Miriam Ballerini

Il libro è in terza persona e le cose che io dico che è Zeljka a pensarle sono dell’autrice, ma non ne sono certo, perché sento che la prima è un’ipostasi della seconda. A tal riguardo, ho pochi dubbi, un paio al massimo, o forse tre.

Dice anche che certa gente è come una fionda, e spara a casaccia tutto il male che sente dentro di sé, poiché il suo scopo è colpire e nulla più.

La tana si sta trasformando, a un certo punto, in un fortino, vittima di frequenti assedi. Ma di tutti questi cattivi invasori ne parlerò alla fine.

Morale della favola: c’è gente che non sa parlare, e ha voce solo per le offese; ma c’è chi sa amare e che non vuole far violenza all’amato bene, e che sa utilizzare anche il dolore, trasformandolo in poesia. Sono tutti concetti nati nella mente sofferente e quasi felice di Zeljka.

Ogni nostro atto ci conduce da qualche parte, l’importante è avere il coraggio di compierlo, nella piena consapevolezza. Seguire la propria mistica geodetica, il tragitto più breve fra due punti, appare il compito esistenziale.

Il miracolo, quando nevica, è che un fiocco si deposita solo quando i suoi fratelli gemelli lo accompagnano in massa. È dall’unione, non dalla separazione, che si crea un organismo nuovo, che nella storia si chiamerà, Lorenza, figlia della nuova coppia di innamorati.

E ora parliamo dei lupi, che di solito viaggiano in torme. Qui no. Ne ho contati appena otto.

Due sono i genitori di Zeljka, che non hanno saputo reagire alla morte di Valentino, il figlio prediletto, dimenticandosi dell’esistenza dell’altra, peggio, dimenticandosi quasi di lei, e contribuendo alla sua malinconica infelicità.

Ci sono i genitori di Claudia, incapaci di seguire la pur amata figlia. Zeljka viene attaccata quando i due si accorgono che ora la loro piccola è cresciuta al punto di decidere autonomamente la sua strada, e non quella che loro le volevano imporre.

C’è la mamma di Jacopo, maligna come poche, che non sopporta che il figlio frequenti questa tipa strana, zoppa e divorziata, che aiuta le donnacce, e usa ancora le mani contro il figlio trentenne: i due non sanno proprio rapportarsi. Lui fugge da lei, lei lo insegue e, per quel grande affetto che prova, lo maledice e lo scaccia da casa.

Ah, ora rammento, sono nove i predatori, in paese c’è un’altra fetida pettegola.

Poi ci sono i genitori di Christian, specie la mamma, talis mater talis flius, capaci come il loro consanguineo, prima di blandire Zeljka, per poi insultarla terribilmente, subito dopo.

In tali coppie di fameliche fiere è sempre la femmina che conduce il gioco. Il maschio appare ogni volta un dû ed còp in rifiût, un due di coppe in rifiuto, quando è briscola spade. È la donna che conduce il gioco macabro della prevaricazione. È lei che spesso cerca di dominare e violentare i figli, a indirizzarli sulla strada che ha deciso la coppia di genitori, cioè lei.

È una forma di brutalità muliebre, a cui è doveroso ribellarsi.

E infine c’è lui, quello che vorrei definire il lupo espiatorio, Christian, bastardo come pochi, che va per suonare e viene suonato, maledetto, sbattuto fuori a calci (moralmente e, se non l’avesse fatto con le sue gambe, anche fisicamente) dalla tana.

E ora ho realizzato cos’è che non mi convinceva della storia. Il demone che è in me si augurava un finale tragico, con Zeljka sacrificata in nome dell’esigenza della catarsi, com’è previsto in ogni tragedia che si rispetti.

Invece no: anche Christian, alla fine, si sp…, anzi, si risp… beh non voglio fare ulteriormente lo spoiler… Roba da matti! O da santi ingenui!

Alla lettura dell’ultimo capitolo, potrebbero cadere molte braccia (e qualche paio di occhiali). Ma ci pensa l’autrice, nel commiato al lettore, a rinsaldarle al corpo e a rimettere tutte le cose a posto, compresi le lenti ch’erano scivolate giù dal mio naso.

 

Written by Stefano Pioli




giovedì 20 febbraio 2020

Recensione COME IMPRONTE NELLA NEVE a cura di Marcello Sgarbi


COME IMPRONTE NELLA NEVE  a cura di Marcello Sgarbi
Sarò anche campanilista ma, dopo avere presentato in questa serie di recensioni Massimo Del Viscio, che ho definito l’”Andrea Vitali di Appiano Gentile”,
non posso fare a meno di suggerirvi la lettura di un’altra illustre
e già affermata scrittrice appianese.
Titolare di una ormai nutrita bibliografia, costituita soprattutto da romanzi
di narrativa sociale quali Fiori di serra, ambientato nel carcere di Como,
Dietro il sorriso del clown, che ha per temi l’ansia e la depressione
o Bassa marea, dedicato a storie di vita borderline, in questo nuovo libro
si schiera ancora una volta dalla parte degli ultimi.
Zeljka, protagonista assoluta del racconto, fugge da una vita di dolori. Fisici,
- perché reduce da un grave incidente – ma soprattutto intimi, per il suo vissuto di frustrazioni e umiliazioni. Grazie all’amico Lorenzo, come lei veterinario,
ritrova nel casale battezzato “la tana” la sua identità di donna.
L’esperienza con Elia e Jacopo, con lo stesso Lorenzo e con Claudia,
una ragazzina che come lei – e per ragioni diverse – è in cerca di sé stessa,
portano Zeljka a condividere insieme a loro sia l’amore per gli animali,
sia per la natura. La cifra stilistica, precisa e insieme ricca di paragoni,
metafore e immagini antropomorfe, mi ha ricordato autori come Isabel Allende
o Gabriel Garcia Marquez. E gli echi poetici percepibili in diversi momenti
del racconto, così come nel percorso letterario di un altro grande – e trascurato -
scrittore lombardo quale Massimo Bontempelli, prima che con la prosa
sono la testimonianza della lunga e significativa frequentazione dell’autrice
con Euterpe. Come ci suggerisce in questo suo ultimo romanzo, il nostro vissuto
è simile alle impronte lasciate sulla neve. Destinato a svanire, ma non per questo meno autentico. E ancora ci dice: facciamo in modo che queste impronte
siano nitide, uniche e meravigliose. Perché la nostra vita sia ricordata,
tanto quanto questa splendida prova narrativa.

Non voleva ancora concedere all’entusiasmo di rendersi palese. Aveva paura di commettere il peccato di cercare un po’ di sollievo dal dolore; conosceva fin troppo bene quella verga che le calava a sorpresa sulle reni, proprio quando cominciava a manifestare la sua altezza di essere umano. Nella sua vita ogni cosa ottenuta le era costata una sferzata e per un po’, per qualche tempo ancora, non voleva pagare più lo scotto dell’aspettativa.
Faceva freddo, la luna galleggiava in quel calice di tenebre, vestita di nubi sfilacciate.
Zeljka sentì dentro di sé un tremito: un insetto munito d’elitre che presto avrebbe spiccato il volo.
Amare la vita è un dono. Quando ci si innamora delle sue varie forme si comprende che l’essere umano è solo una piccola goccia di un fiume che scorre e leviga. Senza quello smodato trasporto d’acqua, saremmo solo stille destinate a svaporare al primo sole.
Il tramonto era una pennellata di rosso sulle guance del cielo. Le nuvole parevano biscotti inzuppati in quel liquido ambrato.

Miriam Ballerini Come impronte sulla neve – (Editore Kimerik)

mercoledì 19 febbraio 2020

Donne contro il femminicidio

E' uscito su Oubliette Magazine un'intervista che mi riguarda.

https://lnkd.in/gRdXxTX