venerdì 23 ottobre 2020

Recensione di Fiori di serra a cura di Stefano Pioli - Oubliette magazine

 

“Fiori di serra” di Miriam Ballerini: la privazione della propria quotidianità

Perché l’unico mezzo per parlare al cuore delle persone è farlo attraverso delle storie.”

Fiori di serra di Miriam Ballerini
Fiori di serra di Miriam Ballerini

La storia non è solo un tramite, ma è un destino imprevedibile, che prende forma, attimo dopo attimo, nella mente di chi la sta inventando (segreto di Pulcinella che qualsiasi autore conosce).

In quel momento egli crede di avere in mano la sorte di un certo numero di individui, alcuni dei quali pagheranno per delle colpe che sono state create apposta per loro da una specie di demiurgo, che solitamente partecipa, celato in un abisso, in obbligazione solidale al suo e al loro tormento. E, talvolta, anche alle eventuali felicità.

Resta il fatto che, a quanto si dice, la maggior parte delle narrazioni contenga più sofferenza che gioia e che ogni scrittore gema insieme alle proprie creature per una loro pena, più di quanto festeggi per una loro vittoria.

Posto che esista un Dio, e che uno scrittore sia una sua caduca ipostasi, viene da chiedersi se anch’Egli provi simili tormenti nell’atto di creazione di una nuova anima e nella sua tormentata peregrinazione terrena.

Il personaggio principale è una ventunenne di nome Gloria che, vivendo una situazione di disagio, è spinto dal compagno e dal bisogno a partecipare a una rapina, nel corso della quale, spara accidentalmente a una persona, uccidendola.

A me pare che un’importante parte del cuore di Miriam sia servita a costruire questa figura di rea confessa, che è, al medesimo tempo, vittima della propria assurda disgrazia.

Il romanzo corre su due binari concomitanti, che sembrano intrecciarsi senza mai entrare in collisione. Da una parte sono rievocati i tentativi da parte di Miriam di entrare fisicamente e psicologicamente in un carcere femminile, al fine di raccogliere informazioni sull’ambiente, ma anche di percepire il senso della condizione di essere reclusi.

L’anima della scrittrice cerca di mischiarsi con quelle dei suoi personaggi, che saranno poi trasfigurati con delle maschere, come accadeva nelle rappresentazioni classiche.

A tal fine accetta persino di farsi rinchiudere, per una manciata di minuti, in una cella. Al termine di quell’atto rituale, sorge in lei quell’angoscia che le permetterà di portare a termine il suo compito: creare una storia che riesca a far sorgere una scintilla di luce in quel mondo oscuro.

Parallelamente, in modo apparentemente distinto, sono descritti i piccoli e grandi avvenimenti che accadono a una manciata di disgraziate creature, ognuna con il suo penoso dramma umano, che non sembra mai finire di consumarsi.

La narrazione si sposta anche fuori, nel mondo libero, dove sono raccontate altre reclusioni psicologiche che non producono un minor grado di disperazione umana a chi la deve affrontare, giorno dopo giorno, inevitabilmente.

Miriam, più di una volta, afferma che sono le storie che si presentano allo scrittore, coi loro corredi di frasi, situazioni, personaggi. Aggiungerei che, per far questo, esse risalgono a chissà quale ignoto evento temporale.

Miriam racconta che il suo primo romanzo fu scritto quand’era una ragazzina, e riguardava proprio quel mondo fatto di sbarre e di alienazione, la cui protagonista si chiamava anch’essa Gloria, nomen non troppo omen, come la giovane assassina che, in questo multiverso, è stata condannata a dodici anni di reclusione, per rapina a mano armata e omicidio preterintenzionale.

La vita di un uomo è segnata dalla necessaria convivenza con il suo prossimo, ragione che presuppone una condivisione di gioie e di dolori, ma anche il rispetto di regole.

L’ingiustizia sociale crea però le condizioni perché alcuni di noi omuncoli finiscono per infrangerle, per cui diventano criminali quasi senza accorgersene. La prima notte di carcere è orribile, perché è allora che prendono piena coscienza del proprio stato.

La prigionia toglie tutto” e quel che prima era semplice, scontato, banale, ora diventa prezioso, complicato e a volte impossibile. Questa è la condanna peggiore, l’essere privati della propria quotidianità.

Il personaggio più splendente è una certa Loredana, che ha perdonato chi l’ha costretta su una sedia a rotelle per il resto della sua vita, sparandole alla schiena. Lei conforta in tal modo Gloria, il cui crimine non sarà forse mai rimesso e dimenticato da nessuno, tantomeno da lei stessa. E il loro dialogo è il più luminoso dell’intera storia:

Miriam Ballerini
Miriam Ballerini

“Sei qui per aiutare persone uguali a quella che ti ha fatto…”

“Sono qui per aiutare delle persone che possono essere recuperate. Se non si aprono spiragli, non si può pretendere di far vedere la luce.”

Loredana poco prima le aveva detto che non si può pretendere il perdono dei parenti delle vittime: “… le persone che hanno subito i vostri crimini hanno il diritto al loro dolore.”

La vedova della persona uccisa da Gloria “si è rifiutata di capire cosa possa esserci dietro quello che è capitato, ma questa è la sua scelta e dobbiamo rispettarla.”

Come anche nel successivo romanzo, Come impronte nella nevequesti Fiori di serra sono un insieme di attimi che accadono fatalmente, inesorabilmente e, a volte, tragicamente. Ma anche miracolosamente, compiutamente ed empaticamente.

Ogni multiverso è un insieme di fenomeni che s’intersecano producendo drammi e commedie, tragedie e favole, il cui lieto fine non è obbligatorio, ma auspicabile.

Quel che è scaturito dall’anima di Miriam non fa eccezione. Lei dimostra, come sempre, di essere molto abile nel saper dare un senso a questo groviglio, che è intriso di umana compassione e di fede nella resurrezione.

E sa sempre donare al mondo frasi un po’ strane, e sobriamente ricercate, come: “Gennaio vedeva i primi fiocchi di neve scendere nel buio come stelle esaurite.”

Sic transit lux mundi!

 

Written by Stefano Pioli

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