lunedì 9 ottobre 2023

Recensione di Marcello Sgarbi

 


Miriam Ballerini

L’altro io - (Casa Editrice Kimerik)


Collana: Percorsi

Formato: Brossura

ISBN: 9791254664988

Pagine: 406


Gli scrittori che hanno affrontato la tematica dei serial killer sono parecchi.

A partire dall’antesignano Shane Stevens con Io ti troverò - che fra gli altri ha influenzato James Ellroy e John Connolly - da cui Stephen King ha tratto ispirazione per scrivere La metà oscura, romanzo che sviscera la personalità scissa di Thad Beaumont e di George Stark, la sua metà malata. Si può continuare con Thomas Harris e due suoi libri diventati ormai un culto – Drago Rosso e Il silenzio degli innocenti – con Jeffery Deaver e Il collezionista di ossa o con Marcel Montecino e Croci sul muro, pubblicato da Interno Giallo Mondadori e purtroppo oggi fuori catalogo. O ancora, con James Ellroy e Le strade dell’innocenza. In Italia, esempi illustri sono quelli di Carlo Lucarelli (Almost blue), Claudio Camarca (Ordine pubblico) e Donato Carrisi (L’uomo nel labirinto). Una citazione a parte merita poi American Psycho di Bret Easton Ellis, così cinico e truce da fare invidia all’Anthony Burgess di Un’arancia a orologeria.

In tutti questi casi – a eccezione di American Psycho, nel quale l’assassino seriale si racconta in prima persona – gli autori snodano le loro trame nel percorso di indagine e di caccia del detective di turno, verso la cattura dell’omicida. In L’altro io, invece, l’autrice - tenutaria di questo blog – ci svela da subito l’identità di Lucas, coprotagonista del romanzo insieme a Nicla, la sua antagonista.

La donna, una giovane giornalista e scrittrice in cui viene immediato riconoscere la proiezione autobiografica di Miriam Ballerini, muove la sua ricerca delle motivazioni che spingono al male attraverso il coraggioso confronto con quello che in L’altro io viene definito “il mostro delle lacrime”. Intense le pagine in cui Nicla incontra Lucas in carcere, sembrano riecheggiare i colloqui fra Clarice Sterling e Hannibal Lecter in Il silenzio degli innocenti.

Del vissuto quotidiano di Nicla, divisa fra l’adorato figlio Tommaso, il lavoro e la sua personale indagine, fanno parte anche i rapporti della protagonista con le vittime di Lucas e le relazioni affettive famigliari e amicali intessute dalla donna, attraverso cui l’autrice allarga il nostro sguardo a comprendere fenomeni e comportamenti sociali: il razzismo, il buonismo, il pietismo. E ci riesce con abilità anche attraverso personaggi solo in apparenza secondari, come il barbone Amelio e il suo pupazzo Manlio.

L’altro io è un romanzo teso e vibrante, ma è anche una fotografia della società attuale, una dimensione del resto sempre presente nei libri di Miriam Ballerini. Così come è una costante la ricchezza di paragoni e metafore ispirate al mondo della natura, una cifra stilistica tipica dell’autrice, che in questo a volte mi ricorda Susanna Tamaro.

In perfetto equilibrio fra emozione e ragione, L’altro io è ben risolto anche nella trattazione degli argomenti più “tecnici”. Lo si coglie per esempio nel dialogo fra Nicla e Speranza Loi, una pagina che non ha niente da invidiare a giallisti documentati in patologia criminale e linguaggio scientifico come Patricia Cornwell, Kathy Reichs o Jeffery Deaver.

A differenza di questi scrittori, però – a tratti farraginosi – uno dei meriti di Miriam Ballerini è quello di affrontare aspetti impegnativi con lo stesso stile piano e discorsivo che riserva al resto della narrazione.

L’altro io avvince e coinvolge, ed è insieme un romanzo coraggioso perché ci porta a riflettere sul contatto diretto con la sofferenza – vedi l’esperienza del carcere, che l’autrice ha voluto vivere personalmente – e sul potenziale atteggiamento rivolto alla vendetta che fa parte di ognuno di noi, nel nostro istintivo identificarci con le vittime di crimini.

E infine sul perdono, rarissimo in chi ha subìto violenze. In questo senso, se devo pensare a dei precedenti, gli unici esempi che mi vengono in mente sono quelli della strage di Erba, in cui Carlo Castagna – morto qualche anno fa – ha perso la figlia Raffaella e il nipotino Youssef. O di Giovanni Bachelet, che ha perdonato le Brigate Rosse di avere ucciso suo padre Vittorio, giurista, uomo politico e docente universitario. O ancora di Rosaria Costa, vedova di uno degli agenti di scorta a Giovanni Falcone nella strage di Capaci, che sembra ancora di sentire gridare:

Io vi perdono, ma voi vi dovete pentire!”.

In definitiva, L’altro io non può che appassionare, perché è un romanzo sul Bene e sul Male, le due grandi forze fra le quali oscilla tutta la nostra esistenza.

Credo non ci sia di meglio che esprimere questo pensiero con le stesse parole usate da Miriam Ballerini, nel rivolgersi al lettore negli intermezzi di questo suo nuovo libro: “Forse siete abituati a leggere di storie in cui i buoni sono buoni, i cattivi sono cattivi; ma io vi racconto di storie di vita. Solo nei libri, appunto, si trovano distinzioni così nette; nella realtà tutti siamo buoni e tutti sappiamo essere cattivi”.

Nessuno ti rivela che prima o poi ti sporcherai, che qualche volta non ci sarà abbastanza sapone per lavare via la lordura. E di certo nessuno ti dirà mai che è meglio quella macchia che rovina l’insieme, su una superficie pulita, piuttosto di un pavimento su cui, per muoverti, hai bisogno delle pattine per non rovinarlo”.

Cosa vuoi che vada bene a gente così? Ci sono persone alle quali tasti il polso e trovi solo silenzio”.

Nella vita reale niente era semplice; le scelte non erano solamente due: bianco o nero? Le nuance fra le quali scegliere erano molteplici. La gente spesso aveva quella visione del mondo semplicistica, di voler etichettare a ogni costo gli altri: questo è bello, questo è brutto. Quello è un drogato, lei una puttana… dare solo il titolo non spiega mai la trama. Solo quando ci si sforza di conoscere le storie degli altri, si dona il senso alla storia intera”.

“Il tavolo accanto al loro venne occupato da un uomo e da una donna. Parlavano di femminicidio. A un certo punto, l’uomo, alzò la voce per farsi sentire bene da tutti i presenti: ‘Certo che, per una donna, è meglio morire per mano di un italiano che non essere violentata da un negrone’. Alcuni, dai tavoli vicini, annuirono. Nicla e una ragazza seduta poco più in là, si fissarono basite. Di fronte a un tale discorso pieno di paradossi, talmente intriso d’ignoranza che fioriva macchie d’umidità sul tessuto su cui veniva ricamata, non c’erano parole. Forse meritava solo il silenzio: quello della morte delle pari opportunità, dell’uguaglianza, dell’umanità. Perché tutto questo, d’un solo colpo, era stato sepolto con poche badilate”.

© Marcello Sgarbi


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